La Corte, infatti, si è occupata di un caso diverso da quello della educazione alimentare o della consulenza nutrizionale, e si è espressa in maniera molto chiara, riferendosi esclusivamente a una attività di prescrizione specifica, che integra il reato di esercizio abusivo di professione sanitaria:
“l’individuazione dei bisogni alimentari dell’uomo attraverso schemi fissati per il singolo con rigide previsioni e prescrizioni, se non e’ esclusiva del medico biologo, puo’ competere in via concorrente ad altre categorie professionali per le quali e’ comunque prescritta l’acquisizione di una specifica abilitazione, quali medici, farmacisti, dietisti, fatte salve le competenze stabilite nelle normative di settore, ma mai, proprio per le ricadute in termini di salute pubblica che tali prescrizioni assumono, essere esercitate da persone che siano prive di competenza in tema sanitario, quali gli odierni ricorrenti.
In tal senso muove anche la giurisprudenza amministrativa citata nel ricorso ove si riconosce la natura non esclusiva, ma pur sempre professionale dell’attivita’ di prescrizione dietistica.” (Suprema Corte di Cassazione, sezione VI penale, sentenza 28 aprile 2017, n. 20281).
La realtà che la Corte ha considerato punibile non è quella della elargizione di generici consigli alimentari, rientranti nello svolgimento di una attività di educazione alimentare, ma una attività ben diversa, di diagnosi e prescrizione a scopo terapeutico. In conclusione, la Sentenza citata dimostra che la Suprema Corte considera pienamente legittima una attività di informazione e di educazione al benessere posta in essere tramite generici consigli alimentari, rientranti nello svolgimento di una attività di educazione alimentare non avente finalità diagnostiche e prescrittive come quella svolta dai consulenti nutrizionisti ad indirizzo naturopatico delle Scuole ENSA.